Il paziente del pronto soccorso non è come gli altri. È una persona che fino a poco prima stava bene, non aveva problemi o non era sufficientemente consapevole, e improvvisamente si scopre malato, sofferente, impotente, privato della capacità di decidere, circondato da medici e infermieri sconosciuti che hanno in mano la sua salute e spesso la sua vita.
Potrebbe essere questa la “presentazione” del Pronto Soccorso dell’ospedale di Rivoli (ma anche di tanti altri ospedali), diretto dal dottor Roberto Sacco, situato a pochi chilometri da Torino, a cui afferisce un bacino di oltre 300 mila persone per una capienza di 220 posti letto e dotato di quasi tutte le specialità mediche e chirurgiche, per circa 60 mila passaggi all’anno, che mi ha visto “ospite” un’intera giornatatipo per seguirne l’attività.
Sono le 8.30 di un giorno d’estate quando varco la soglia del P.S. Mi accoglie nel suo studio il dottor Alberto Piolatto, direttore della S.C. di Medicina e Chirurgia di Accettazione e Urgenza (MCAU). Particolarmente cordiale e di provata esperienza, mi intrattiene per una breve illustrazione del nosocomio rivolese. “Il nostro P.S. – spiega – è diviso in tre aree: l’accoglienza che comprende la sala d’attesa, una postazione amministrativa per la registrazione dei pazienti in arrivo e l’ambulatorio per la visita di triage da parte degli infermieri; inoltre una grande “camera calda” in grado accogliere tre ambulanze contemporaneamente”.
Ma il “vero” P.S. (denominazione che in realtà dovrebbe indicare solo l’area di visita ma ancora in uso anche in senso lato, soprattutto da parte della popolazione) è a sua volta diviso in due aree: una grande di accettazione che comprende tutte le sale visita (mediche e chirurgiche), più una sala ortopedica, una sala gessi ed una camera detta antishock (alla quale vi si accede direttamente dalla camera calda attraverso un breve corridoio) per il trattamento di pazienti, quasi sempre codici rossi, con segni vitali gravemente compromessi e che necessitano di particolari manovre rianimatorie. Questo Servizio è coordinato dal punto di vista infermieristico da un capo sala che dirige sia la parte di triage che la parte di accettazione. Un’altra parte è riservata all’area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) con 14 letti di cui 4 monitorizzati, e una stanza per i pazienti infettivi.
Nel 2010 quello di Rivoli è stato il secondo ospedale (dopo il Maria Vittoria di Torino) per accoglienza e ricovero di pazienti traumatizzati trasportati dal Servizio 118, e il secondo ospedale (dopo il C.T.O. di Torino) per accoglienza e ricovero di pazienti con traumi gravi. Infatti, questo DEA, recentemente ristrutturato e notevolmente ampliato, ha costituito quello che si può definire un nucleo di medici di Emergency Room per la Medicina e Chirurgia di Accettazione ed Urgenza. “Sono presenti un internista ed un chirurgo 24 ore su 24 nell’area di Accettazione – spiega ancora il clinico – nonché un ortopedico dalle 8.00 alle 20.00, mentre per le ore notturne è garantita la sua reperibilità; sono inoltre disponibili le S.C. di Ginecologia e Ostetricia e quella di Pediatria in grado di attivare l’accettazione diretta e di predisporre le eventuali dimissioni, contribuendo “non poco” a snellire il processo generale… Tutto il Servizio comprende un organico di 12 medici (oltre al sottoscritto) per la Medicina d’urgenza, 6 chirurghi 24 ore su 24, 42 infermieri, e 1516 operatori socio sanitari (OSS) con un carico di lavoro assai pesante per il continuo trasporto dei pazienti (dal Dea, alle sale visita, alle sale diagnostiche e ai reparti): ogni giorno si ricoverano mediamente 7 pazienti in Medicina e 5 pazienti in Chirurgia, 2 pazienti in Ortopedia”.
Al termine del colloquio il dottor Piolatto mi presenta ai colleghi in servizio. Il primo impatto con questo reparto è la visione di 11 pazienti allettati in corridoio (alcuni stanno facendo colazione) per un totale di 25 pazienti in osservazione. Nella sala medica mi accoglie la dottoressa Luisa Lovera, una giovane internista, dinamica e molto colloquiale, nonostante l’avvicendarsi del suo ruolo tra telefonate, compilazione di cartelle cliniche e prescrizione di esami clinici. Al momento sta valutando le condizioni di un paziente di 76 anni (giunto al P.S. il giorno prima) con disturbi epatorenali, oltre ad essere diabetico, iperteso e in sovrappeso. Lo visita e prescrive alcuni esami ematici i cui valori risulteranno essere normali ma, ipotizzando una nefropatia (probabile presenza di calcoli renali), predispone la TAC, una visita urologica, una iniziale terapia farmacologica, ed eventuale ricovero. Il paziente, con espressione sofferente ma contenuta, fa qualche domanda e “rincuorato” dal medico, accetta con “rassegnazione” l’iter prescritto.
Il giro in corridoio prosegue tra andirivieni di medici, infermieri, operatori socio sanitari e qualche parente accanto al proprio congiunto in barella o sul lettino. Il paziente successivo è un giovane di 41 anni che accusa disturbi crampiformi all’addome e conati di vomito, dopo aver un trascorso un breve periodo all’estero… È visitato dalla stessa dottoressa e, dopo aver valutato alcuni esami dall’esito negativo, prescrive una terapia per rimuovere il disturbo intestinale, ed essere dimesso in giornata. L’attività prosegue, più o meno in modo frenetico, anche con consulti telefonici richiesti a colleghi della diagnostica strumentale e di laboratorio, o di reparto. La terza paziente (siamo già a mezza mattinata) è una donna anziana affetta da psicosi e inviata dal medico di base per un apparente calo ponderale (dimagramento) per probabile uso smodato di alcolici; è visitata dalla dottoressa Lovera in una sala medica che non conferma una situazione clinica di rilievo (sia pur necessaria di qualche farmaco per la fase debilitante del momento), se non una “alterazione” psichica per la quale prescrive una consulenza psichiatrica e il ricovero presso una casa di cura. Un’altra paziente di media età, è giunta al P.S. il giorno prima lamentando dolore all’orecchio sinistro e al collo dopo essere caduta in casa. Dalla anamnesi (storia clinica familiare) emerge che è stata operata di recente per una displasia all’anca; le vengono prescritti alcuni farmaci contro il dolore ed una Angiotac (esame radiologico specifico per la valutazione delle condizioni delle vene e delle arterie); mentre un’altra paziente anziana ricoverata in una stanza del Dea in condizioni psicofisiche irreversibili, viene visitata in attesa di essere trasferita in reparto.
Nel frattempo mi raggiunge il dottor Piolatto che mi accompagna nell’area del triage dove vengo accolto da Leonarda Meloni e Simona Pastori, due giovani infermiere preparate e soprattutto motivate. Dopo la registrazione, ad opera di un amministrativo, un giovane viene accolto da una delle due infermiere. Lamenta dolore addominale che si protrae dal giorno prima, e viene sottoposto ad una serie di domande in seguito alle quali gli viene assegnato il codice verde. Il paziente ritorna nella sala di attesa per essere poi ricevuto dal medico. “Oggi – spiegano le due professioniste – è una giornata apparentemente “tranquilla”, a differenza di altri giorni quasi sempre più critici per il notevole afflusso in pronto soccorso, anche se non sempre è necessario ricorrervi. Nelle ore diurne sono presenti due infermieri, di notte uno che svolge anche il ruolo di amministrativo per la registrazione dell’accesso al P.S. Le patologie, ovviamente, sono tra le più varie, non solo malesseri generali (più o meno gravi) ma anche traumi di varia entità”.
Giunge nel frattempo una signora con una ferita da taglio alla gamba sinistra (all’altezza della caviglia) per infortunio in ambito domestico. Viene accolta dall’infermiera Pastori per una prima medicazione, assegnato il codice verde e messa in attesa di essere vista dal chirurgo. Dopo pochi minuti entra in triage un giovane (accompagnato dalla madre) con espressione sofferente e una mano fasciata, affermando di essere stato morso da un cane. Dopo una attenta valutazione, l’infermiera gli fa una prima medicazione e lo mette in attesa della visita del chirurgo. Di li a poco viene fatto entrare un uomo anziano che lamenta un dolore persistente alla spalla, al ginocchio e all’anca; dopo la rilevazione di alcuni dati sarà visitato dall’ortopedico. Non trascorrono che pochi minuti e una donna anziana, giunta con l’ambulanza, viene fatta entrare dai volontari del 118 in triage su una sedia a rotelle: ha la testa fasciata e sanguinante a causa di un trauma cranico accaduto probabilmente in ambito domestico. Anche lei é medicata dalle infermiere e inviata dal medico specialista per gli approfondimenti diagnostici e le cure del caso.
Un altro giovane, che lamenta dolori addominali che si protraggono da un paio di giorni (sia pur apparentemente privo di sintomi più gravi), viene valutato nei minimi particolari e, per scongiurare un attacco di appendicite, resta in osservazione per alcune ore. La convinzione di quella che poteva essere una giornata più “tranquilla”, viene smentita dall’arrivo di altri pazienti. Fra questi (siamo già nelle prime ore del pomeriggio) un anziano che lamenta un dolore persistente alla spalla destra, affermando di essere caduto dalla bicicletta. Valutato e medicato in triage, verrà visitato dal chirurgo e inviato in radiologia per accertare la presenza di eventuali fratture. Giunge ancora un uomo di 79 anni per una apparente insufficienza renale, e dopo attenta valutazione viene richiesta una visita del nefrologo.
Dopo aver assistito a questi primi “casi”, sinora tutti valutati con codice verde, il dottor Piolatto mi accompagna nell’ambulatorio di Ortopedia dove mi riceve il dottor Saverio Durbano, coadiuvato da una infermiera preposta all’accoglienza dei pazienti. Sino a quel momento non c’è stato molto movimento di pazienti, come del resto ciò avviene più o meno anche in altri giorni “perché – spiega con enfasi e “soddisfazione” il dottor Durbano – da quando alla Accettazione di Ortopedia afferiscono “solo” pazienti con patologie appropriate come fratture, sciatalgie acute, o distorsioni importanti, la selezione degli stessi è più “obiettiva” (il riferimento è antecedente alla ristrutturazione del P.S.) e quindi più giustificata per la nostra stretta competenza come ambulatorio di accettazione”. Durante questo breve colloquio giunge in ambulatorio un paziente anziano, accompagnato in barella dai volontari della CRI, lamentando dolenzia agli arti inferiori; l’ortopedico gli rivolge alcune domande, lo visita e lo invia in radiologia.
Tornando in area medica, sempre accompagnato dal dottor Piolatto (siamo al pomeriggio inoltrato), vengo accolto dalla dottoressa Monica Valobra, una pneumologa con ottima esperienza nell’ambito delle emergenze di carattere internistico, che mi illustra il suo “campo d’azione”, perfettamente in linea con l’operatività dei suoi colleghi operanti nell’Accettazione. Dopo pochi minuti in sala medica viene fatto entrare un diciannovenne, inviato dalla Guardia Medica di Avigliana (piccolo Centro della cintura torinese), attiva anche di pomeriggio in quanto l’ospedale locale non ha più servizio di P.S. È stato valutato in triage con codice verde, in quanto presenta una vistosa allergia cutanea sul braccio sinistro e parte dell’addome a causa di una puntura d’insetto. Viene visitato e medicato con prescrizione di farmaci antistaminici dalla dottoressa Valobra, che conferma l’allergia cutanea eritematosa diffusa. È trattenuto in barella per qualche ora e, alla riduzione della sintomatologia, potrà essere dimesso nella stessa giornata. “Oltre alla disponibilità della sala antishock adiacente il triage – spiega la dottoressa – l’area medica è predisposta ad una postazione informatica che consiste nel collegamento telematico con il C.T.O. di Torino per la consulenza neurochirurgica in tempo reale, ossia noi possiamo inviare un referto neuroradiologico di pazienti colpiti da emorragia cerebrale, e dall’ospedale torinese i neurochirurghi sono in grado di completare la diagnosi e disporre l’indicazione neurochirurgica. In tal caso, il paziente viene trasportato con i mezzi di urgenza in tale ospedale”. Dopo aver “presenziato” a qualche altro caso, la dottoressa Valobra mi invita a prendere visione del Servizio di radiodiagnostica, che non gode di grandi spazi ma estremamente efficiente, oltre a salire al primo piano per fare un “giro” nel Laboratorio Analisi, un servizio dalle grandi potenzialità al quale afferiscono le moltissime richieste di analisi chimiche dell’ospedale ma anche degli 11 Centri di prelievo del territorio.
Si conclude così, alle 17.50, la mia giornata accanto agli operatori dell’Urgenza ed Emergenza che, a differenza di altri giorni, non è stata particolarmente intensa: poco più di 20 pazienti in Accettazione e quasi altrettanti si sono avvicendati al Triage, in parte dimessi e qualcuno ricoverato. Tutto questo in un clima organizzativo razionale e privo di tensioni, dove il rapporto medicopazienteinfermiere è spesso empatico e davvero umano (se si escludono le rare eccezioni,) e dove l’appagamento dell’esercizio della professione medica e infermieristica, a mio avviso, trova riscontro proprio nella “rinnovata” umanizzazione, grazie alla logistica più estesa del P.S. e ad una più capillare informazione sul territorio. L’unica “pecca”, se posso esprimermi come ospiteosservatore, sarebbe da rivedere in modo più obiettivo il concetto di valutazione dei codici bianchi in accesso al servizio, al fine di garantire, sia pur lievemente, un minore afflusso di pazienti che potrebbero afferire al proprio medico di famiglia.
Ernesto Bodini